
Julius Caesar per Arti Inferiori
26 Febbraio 2014Grande assenza sulla scena quella di Giulio Cesare che rivive nei picchi di delirio dei cospiratori, con un popolo romano gestuale che tamburella su vecchie porte simboleggianti la fatiscenza della Repubblica per esprimere consenso o dissenso alle roboanti parole di Gabriele Portoghese (Marc’Antonio) che chiede attenzione, che chiede vendetta. Un delitto scellerato s’è compiuto, anticipato nella scena iniziale dalle inquietanti parole di Artemidoro sinistramente sussurrate «guardati Cesare dalle Idi di marzo» seguite dai nomi degli assassini i quali, uno a uno, si arrampicano su una sedia sfondata, logora, segnata da gessetti rossi, macchiata di sangue e infamia. Una scenografia essenziale, composta di tre porte scorse a destra e a sinistra, con tonfi ad hoc, sulle note di una musica sempre presente ma quanto poco invasiva, accompagna le parole, cariche di tagli dell’originale testo shakesperiano, per ricreare un ambiente notturno, ossessivo, la lunga notte della fine della Repubblica fino alla disfatta di Filippi in cui torbide passioni animano la volontà dei congiurati. Roberto Manzi nei panni di Cassio s’appollaia sulla coscienza di Giandomenico Cupaiolo, un novello Bruto in giacca e cravatta, per ottenere da lui il consenso a quella che è un’operazione volta a riconquistare la libertà. «Il tuo nome, Bruto, è uguale a quello di lui, di Cesare» e la scenografia si fa lavagna, si fa visione di un conflitto interiore di corpi sbattuti, impersonati dalle grida innocenti di Ersilia Lombardo (Calpurnia) e Livia Castiglioni (Porzia), inermi vittime del corso della Storia. Non c’è pace per i congiurati, i falchi della notte tra cui anche Luca Waldem Zanforlin nei panni del minaccioso Casca, vestito di pelle, non dormono ma tramano solamente. In questo spettacolo, scelto per rappresentare l’Italia al Festival Globe to Globe 2012 in Inghilterra, la regia di Andrea Baracco e la drammaturgia di Vincenzo Manna fanno rivivere la Roma di Shakespeare ma senza i suoi protagonisti, una città oscura che si consuma nella penombra, così terribilmente viva.
Camilla Bottin