
Sotto tiro di Gianni Ballestrin
30 Maggio 2013«Quello era un posto, e il suo uno stato d’animo, che chiedevano lentezza», a suscitare tali riflessioni in Ivan è quella mancanza di «spontaneità» che solo l’atmosfera pregna di «luci ed ombre» del lago di Ohrid riuscirà a dissipare. Nei suoi compagni, il fotografo veneziano in viaggio per lavoro, ammira «quella disposizione così rara a comunicare» un «vissuto interiore» su cui sovrasta l’ombra della guerra dei Balcani: un percorso a ritroso nel tempo che permetterà al protagonista di confrontarsi con angoscia con quella che viene chiamata «la Bestia». Il ritrovamento di un quaderno nero all’interno di una cella del monastero darà il via a un’immedesimazione negli occhi dell’Altro, ancora sconosciuto. L’affresco dell’Annunciazione si confonde nella ricerca del dell’eleganza e dell’armonia: poteva Ivan cogliere ancora «la densità dei movimenti» e la «tensione di uno sguardo»? Stavolta non è con il flash che il fotografo «cattura l’anima nel massimo della sua espressione» ma con il cuore, nel ritrovare giorno dopo giorno la realtà quotidiana, «la grappa profumata», «la sala da pranzo con i tavoli di legno, le tovaglie a fiori, gli odori ormai noti», le partite a bocce con i vecchi assunte a «rito serale». Ivan si vergogna quasi di non conoscere quel mondo di cui conosce la lingua grazie alla nonna slava, ma alla fine «solo il vento attraversa i confini senza fare distinzioni». Nella storia umana fatta di barriere, divisioni e guerre, la natura, compenetrata nella mente del protagonista grazie al lavoro a contatto con gli ulivi, può riportare pace: è nella serena contemplazione che possiamo risolverci alla riscoperta di noi stessi, ma arriva sempre «il tempo di ricominciare», di ripartire.
Camilla Bottin
Dalla quarta di copertina:
Se Ivan avesse dovuto descrivere il suo stato d’animo nel partire, avrebbe detto di aver avuto una specie di presentimento. Fino a quel momento la sua meta, Ohrid, era solo un bel lago tra Macedonia, Grecia e Albania dal quale riportare fotografie per un’agenzia turistica. Solo una volta giunto fin lì troverà conferma che il suo non sarà davvero un viaggio qualsiasi. Non solo per la storia con cui verrà in contatto, o per la follia dei Balcani, come gli scapperà di definire il mondo slavo che conoscerà. Sarà il ritrovamento di un manoscritto a segnare davvero il suo viaggio mettendolo sulle tracce di un passaggio umano, drammatico e dolente. Un’ombra della recente guerra che aveva, invece, solo sfiorato quella regione e che gli proporrà un incontro cui non potrà e non vorrà sottrarsi.
Signor Ballestrin, Lei è mai stato nelle terre che descrive nel romanzo ‘Sotto tiro’?
Sì certo, il romanzo senza essere stato in quelle terre non avrebbe potuto essere. Il mio interesse è alimentato soprattutto dal dramma della guerra recente che non riesco a confinare in un altrove cui noi siamo estranei. Ci riguarda, nelle motivazioni, nella vicinanza geografica e storica, come ho tentato di sottolineare nel libro. Ma ci riguarda soprattutto in quanto europei: è stata una pessima prova per la nostra Comunità, un’assenza della politica vergognosa e preoccupante come è emerso anche nel convegno internazionale che si è svolto (11/5) al Centro S. Gaetano di Padova alla cui realizzazione ho collaborato.
Lei crede ancora nella fotografia d’arte?
Non so cosa voglia dire ‘crederci’ ma posso dire che mi interessa molto e soffro del fatto che, per questo sguardo, non c’è praticamente più spazio se non in funzione meramente commerciale. C’è una sovrabbondanza di immagini disponibili, immagini che fanno cronaca, raccontano, vendono. Ma mai, o quasi mai, immagini che ci fermino un attimo, che ci sospendano il passo. Avrà notato che nel romanzo c’è un coprotagonista che praticamente non entra mai in scena. E’ Dusan, uno storico dell’arte e restauratore. Rappresenta, tra le tante cose, il fatto che nella barbarie della guerra (come in ogni decadenza) la prima vittima è proprio la cultura.
C’è un’intenzione autobiografica nel romanzo?
Ivan non sono io. Non c’è intenzione autobiografica, ma certamente Freud avrebbe qualcosa da dire al riguardo.