120 Chili di jazz
14 Febbraio 2012César Brie arriva in Italia dall’Argentina a 18 anni con la Comuna Baires, gruppo teatrale di cui è cofondatore, sviluppando un’arte apolide, a stretto contatto con le molte realtà incontrate in una vita passata, per scelta, in esilio. Seguono le esperienze nel gruppo Farfa e nell’Odin Teatret con Eugenio Barba. Il suo bisogno di usare il teatro come strumento civile e di lavorare partendo da un’impietosa indagine di sé e del mondo, negli anni ‘90 lo spinge a Sucre, in Bolivia, il paese più povero e insanguinato dell’ America latina, dove fonda il Teatro de los Andes: un villaggio-compagnia che diventa laboratorio artistico e politico per le lotte campesine. Con questo gruppo produce spettacoli di ricerca che partono dalla storia o dai classici, ma calati profondamente nell’attualità: una serie di lavori esemplari destinati a girare il mondo. Da solo in scena, César Brie racconta la storia di un uomo, Ciccio Méndez, che pur di riuscire a vedere la sua innamorata, decide di entrare a una festa fingendo di essere il contrabbassista del gruppo jazz che allieterà la serata. Méndez non sa suonare il contrabbasso, ma con la sua voce da uomo delle caverne imita alla perfezione il suono delle corde.
Durante lo spettacolo dovrà riuscire a sostituire il vero contrabbassista del gruppo e a nascondere a tutti la propria incapacità di suonare lo strumento. Dietro a questo racconto si celano tre amori: l’amore non corrisposto per una donna per cui finirebbe all’inferno; l’amore per il jazz, che aiuta Ciccio Méndez a sopportare la sua immensa solitudine, e l’amore per il cibo, dove Ciccio trova brevi e appaganti consolazioni.
Ciccio Méndez non è mai esistito. Nasce dalla cattiva abitudine di due amici che César Brie ha perso di vista i quali, dice, seduti accanto a lui in una classe del Colegio Nacional Sarmiento a Buenos Aires, gli facevano fare la parte del prosciutto nel panino, schiacciandolo in mezzo a loro.
César Brie è fautore di un’arte apolide caratterizzata da una forte etica civile; un’arte a stretto contatto con le molte realtà incontrate in una vita trascorsa per scelta in esilio.