
Intervista a Marco Franzoso
7 Dicembre 2013Il libro “Il bambino indaco” (Einaudi 2012) si apre con la scena di un omicidio: cosa L’ha portata ad alternare il passato con il presente?
Siamo fatti di passato. La nostra individualità si fonda sul nostro passato. Credo che dal punto di vista del romanzo in genere riuscire a integrare due linee narrative parallele che dialogano a vicenda le possa illuminare. Il passato racconta il presente e il presente racconta il passato.
Secondo Lei nei primordi dell’incontro tra i due innamorati era possibile intravedere le conseguenze che un simile matrimonio avrebbe comportato?Non lo so. Nei primordi doveva essere – immagino – una bella storia d’amore.
Mi delinei la figura della nonna, si è ispirato a qualche persona che ha conosciuto?
I miei personaggi si ispirano sempre a persone che ho conosciuto. Le mescolo e ne ottengo il personaggio che mi interessa. Cerco di scavare dentro le persone che conosco perché questo mi facilita nel raccontare storie che parlino della contemporaneità.
Secondo Lei l’atto estremo della nonna è giustificabile o è meritevole di biasimo?
I romanzi non sono macchine del giudizio. Attraverso un romanzo si racconta una storia e quando ci si riesce si può raccontare anche la complessità. Non amo i romanzi a chiave e nemmeno quelli dove l’autore si schiera. Al massimo un romanzo può aiutare uno scrittore e un lettore a porsi delle domande.
Cosa significa per Lei scrivere? Quando ha iniziato e quali sono i Suoi progetti per il futuro?
Scrivere significa cercare le storie che mi raccontano. I miei progetti per il futuro sono continuare a cercare storie e a trovare il modo per raccontarle. Da ieri è ufficiale. Si sta girando a New York il film de “Il bambino indaco” per la regia di Saverio Costanzo. Con Alba Rohrwacher e Adam Driver.
Camilla Bottin